Regia: Billy Wilder
Interpreti: Tony Curtis, Jack Lemmon, Marilyn Monroe, Joe E. Brown, George Raft, Pat O’Brien
Sceneggiatura: I. A. L. Diamond, Billy Wilder
Fotografia: Charles Lang
Montaggio: Arthur P. Schmidt
Paese/Anno: USA, 1959
Distribuzione: Dear Film
Durata: 120’
Genere: commedia
SINOSSI
Chicago 1929, epoca del proibizionismo. Il sassofonista Joe e il contrabbassista Jerry, due squattrinati musicisti jazz, che con tanta furbizia e vivendo di espedienti se la cavano come possono. Questa però non basta più quando nel locale clandestino mascherato da pompe funebri in cui lavorano fanno irruzione le forze dell’ordine. Come se non bastasse, rimangono coinvolti in qualità di unici testimoni della strage di San Valentino, nella quale vengono uccisi diversi mafiosi. Braccati dalla gang di “Ghette” Colombo, esecutrice della strage, non hanno altra scelta che… travestirsi da donne e entrare in un’orchestra femminile in trasferta in Florida.
Joe e Jerry diventano Josephine e Daphne e sul treno conoscono Zucchero, una cantante e suonatrice di ukulele dalla bellezza mozzafiato e il vizio dell’alcool. Joe e Jerry faranno molta, molta fatica a mantenere le loro coperture. Mentre Daphne entra sempre più in confidenza con Zucchero, Joe sveste i panni di Josephine per mascherarsi da Junior, fantomatico scapolo erede della compagnia petrolifera Shell. Fa credere a Zucchero di trovarsi davanti a un’occasione da non farsi sfuggire, mentre Daphne viene corteggiata sempre più spudoratamente da un vecchio e bavoso miliardario. Da vero amico, esce anche una seria insieme al vero miliardario per consentire a Zucchero e Junior/Joe di passare una serata d’amore sul suo yacht. Solo che dopo una serata di tango, il miliardario arriva a chiedere la mano di Daphne che… accetta.
Nello stesso albergo si tiene un congresso de “Gli amici dell’opera italiana”, in realtà una riunione di gangster, tra cui il gruppo di “Ghette”, in cui s’imbattono i due musicisti. Durante un’ennesima fuga rocambolesca sul motoscafo del miliardario, Zucchero cade fra le braccia di Joe, nonostante lui le riveli di essere un bugiardo squattrinato. Jerry cerca di convincere il miliardario a non sposarlo, rivelando addirittura di essere un uomo, ma la risposta è inaspettata: “Beh… nessuno è perfetto!”.
RECENSIONE di Tonino Di Pace Sentieri Selvaggi
In verità dopo cinquantacinque anni dall’uscita del film e delle unanimi, ancorché, giustamente, sperticate lodi rivolte al diciassettesimo film di Wilder, poco o nulla può aggiungersi che non adombri il già sentito e il già detto. A qualcuno piace caldo del 1959 ha costituito una piccola magia ed è probabilmente, il film summa del genio di Billy Wilder.
Come al solito nel cinema di Wilder si stratificano numerosi aspetti e argomenti e dietro una farsa accesa e scintillante, come questo film riesce a dimostrare con la forma perfetta di un inimitabile fuori serie, si affastellano temi che, sottilmente trattati dalla mano leggera e dal registro comico di Wilder, non appaiono neppure ad una lettura in grana grossa. Il film si atteggia come un’ennesima commedia hollywoodiana particolarmente impreziosita dalle presenze di Marilyn Monroe, Jack Lemmon e Tony Curtis, che restano indimenticabili nel travestimento, attraverso cui passa, come spesso in Wilder, il ghigno sornione che ci ricorda l’omosessualità latente nei suoi personaggi, una misoginia congenita e quindi il lato oscuro della vita privata, il tutto confezionato con grazia e leggerezza in una commedia scoppiettante che vede la Monroe mattatrice che coniuga con straordinaria eleganza, desiderio e devianza, seduzione e conformismo.
Il cinema di Wilder, almeno quello che ha utilizzato le forme della commedia, come è noto, vive essenzialmente di simulazione e dissimulazione e questo film non smentisce la norma, anzi ne conferma la regola. Travestitismo e omosessualità, impotenza e gangsterismo sono le tracce profonde e silenziose di un film dalla patina brillante e dalla storia non troppo complicata. C’è all’origine un evento che è la strage di S. Valentino ordinata da Al Capone e i due malcapitati musicisti Jerry (Jack Lemmon) e Joe (Tony Curtis) ne sono inconsapevoli testimoni. La paura di essere riconosciuti li induce a travestirsi da donne e affrontare con un’orchestra femminile una tournée che comporterà molte complicazioni sentimentali per entrambi i protagonisti.
I meccanismi consolidati della commedia wilderiana consentono di avviare la navigazione delle peripezie dei due malcapitati partendo da un preciso riferimento che rispetti il principio di verosimiglianza occorre qualcosa di veramente violento – ebbe a dire Wilder a proposito dell’incipit del film – perché dei giovanotti si travestano da donne e per rendere verosimile il fatto che quando sono innamorati di Marilyn non si spoglino dicendo: “Guarda sono un uomo!”. Questa consolidata abilità nel costruire pezzo a pezzo una solida composizione da mettere in scena con un fine spettacolare, che si traduce in una autentica autorialità narrativa, derivava sia dalla gavetta compiuta con Lubitsch, un vero architetto di commedie e di intrighi comici e amorosi, ma anche dalla sua esperienza di scrittore di sceneggiature sia nella mitteleuropa della sua gioventù, sia successivamente ad Hollywood.
A qualcuno piace caldo è il culmine del lavoro compiuto e in cui il cinema di Wilder sembra definitivamente mettere a frutto quelle doti, utilizzando con sapienza ogni componente. Servendosi dei soliti stratagemmi della commedia: la maschera, la finzione, il travestimento, l’equivoco e la dissimulazione finale, Wilder realizza quest’opera costituita da più livelli interpretativi, piena di brillanti soluzioni, che vive di una superficie in cui domina il flusso narrativo secondo gli stili classici della commedia dell’equivoco, ma sotto, appena ci si estranei dal ritmo degli eventi, ci si accorge che cova il fuoco dell’ambiguità, dell’allusione che si fa sempre molto chiara in Wilder, nonostante le sovrastrutture che costruisce per mascherarne il senso. Si pensi ad esempio, a quanto sia allusiva la prima scena alla stazione quando Joe e Jerry guardano le forme provocanti di Zucchero Kandisky (Marilyn Monroe) con lo sbuffo del treno che lei abilmente evita.
Comprendere, quindi, con sguardo polisemico il cinema di Wilder, di cui questo film costituisce la punta di diamante, è abitarne l’opera, superando i confini di una stretta necessità narrativa (che pure c’è ed è anche corposa e sempre molto bene orchestrata) a vantaggio di una assimilazione di temi che appartengono alle categorie psicologiche e che per questa ragione restano eterne. Qui troviamo tutta la carica trasgressiva di Billy Wilder che di volta in volta assume le vesti del moralista o dell’autore immorale, ma la sua filosofia fatta di acida arguzia e sottile ironia lo ha portato a far diventare oggetto delle sue velate invettive ogni ipocrisia e frustrazione che trovano sedimentazione in ogni classe sociale. Il suo cinema ha assunto un peso e, a tratti, una fisionomia particolare frutto di un fraintendimento degli intenti. Un’interpretazione che ha a che fare con i registri di un moralismo conformista considerando il suo approccio alla materia, solo frutto di un atteggiamento falso. È forse anche in questa ambiguità di risultati, così come accade nelle storie che racconta, che il cinema di Wilder si ramifica e diventa terreno di confronto sugli argomenti che solleva, articolando la policentricità dei suoi film.
Nella prospettiva delineata l’opera complessiva di Billy Wilder acquista quello spessore che ne legittima sia la dirompenza spettacolare, ma soprattutto l’attenzione della critica che ne ha riconosciuto la coerenza e la continuità che la attraversa e di cui A qualcuno piace caldo non è altro che il frutto perfettamente maturo di un lavoro complesso e semplice come la sua nota battuta finale, degna di rimanere per sempre a sigillo di un inguaribile cinismo nichilista, abilmente mascherato da inattesa e vivace comicità.
APPROFONDIMENTI
Quando nel 1959 esce A qualcuno piace caldo siamo nel periodo di coda di quella che molti identificano come il periodo classico di Hollywood. Cominciano ad allentarsi tanto il sistema produttivo quanto, soprattutto, quello ideologico. Fin dal 1934 era in atto il Codice Hays, una serie di regole che il film doveva seguire per poter essere accettato dal temuto organo di censura degli USA, in un quadro di caccia alle streghe di matrice maccartista. Come quel contesto si collega all’epoca contemporanea e al dibattito della cancel culture? Sempre di più assistiamo a “purificazioni” dell’immaginario, libri che vengono corretti perché una parola è oggi scomoda (a differenza, magari, di quando è stata scritta, come nel caso di Roald Dahl) o di personalità che vengono marchiate per commenti non condivisibili (come nel caso di J. K. Rawling, la creatrice di Harry Potter, e le sue supposte dichiarazioni transfobiche). Può questo clima di intolleranza portare a qualcosa di positivo, anche quando la suddetta è indirizzata verso idee palesemente sbagliate?
Eppure nel 1959, questa dottrina ideologica cominciava a mostrare le corde. Autori come Billy Wilder riuscivano ad aggirare il Codice grazie a una scrittura stratificata e apparentemente connivente. Una strategia che aveva imparato dal suo maestro, leggendario autore comico Ernst Lubitsch col quale condivide l’origine tedesca e lo status di emigrato. Opere come Vogliamo vivere! (1942) di quest’ultimo o L’appartamento (1960) dello stesso Wilder e tutti i suoi film noir (uno dei pochi generi che potesse trattare tematiche più pruriginose) inceppano furbescamente il sistema dall’interno. Quali altre opere, non solo cinematografiche, vengono in mente che nella storia hanno svolto un ruolo fondamentale grazie una certa dose di furbizia, magari che raccontano qualcosa per parlare in realtà d’altro, usando quindi un’allegoria?
A qualcuno piace caldo va considerato un precursore, in quanto, seppur in maniera sotterranea, tratta un tema estremamente contemporaneo come la differenza di genere. Prima della musica (ma soprattutto delle performance) di David Bowie, del cinema di John Waters e, ebbene sì, di Achille Lauro e Rosa Chemical, i protagonisti del film del 1959 da uomini si travestono da donna. I due protagonisti provano il punto di vista femminile in una società come quella degli anni ’50 che non rendeva facile la vita alle donne. Quali sono i problemi che sperimentano per la prima volta? Quale cambiamento affrontano nello svolgimento della trama?
La figura di Marilyn Monroe è, invece, un caso a parte. Innanzitutto sarebbe interessante sapere cosa sa, ognuno dei partecipanti alla lezione, della star, così da saggiare la consistenza del suo mito (ravvivato quest’anno dal film Netflix Blonde). Chi è, secondo voi, la Marilyn Monroe di oggi? Ai suoi tempi, quel genere di popolarità era frutto di un processo estremamente lungo, gestito dagli studios che costruivano piano piano una diva. Oggi, invece, sembra che sia tutto più accessibile e alla portata di tutti coloro che hanno la creatività necessaria. Quali sono i personaggi conosciuti in questo senso, cosa fanno e come sono arrivati alla ribalta? Se pensiamo a influencer e personaggi provenienti dal web, vediamo subito come la fama mantenga un carattere costante: il fatto di assorbirsi, di richiedere attenzioni continue che possono facilmente trasformarsi in un peso.