A Chiara

Regia: Jonas Carpignano
Interpreti: Carmela Fumo, Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Giorgia Rotolo, Grecia Rotolo, Koudous Seihon, Pio Amato, Antonio Rotolo, Vincenzo Rotolo, Antonina Fumo
Sceneggiatura: Jonas Carpignano
Fotografia: Tim Curtin
Montaggio: Affonso Gonçalves
Paese/Anno: Italia, 2021
Distribuzione: Lucky Red et al.
Durata: 121’
Genere: drammatico

SINOSSI 

Quando si hanno quindici anni, cosa ci si può aspettare dalla notte di compleanno della propria sorella che compie diciott’anni? Musica e cibo fino a svenire, magari improbabili declamazioni di cugini alticci, ma Chiara non può aspettarsi una macchina in fiamme davanti a casa sua. È questione di pochi attimi, suo padre scompare prima che la luce rossa che illumina il vialetto di Gioia Tauro venga sostituito dal blu delle volanti. Alle sue domande, la madre risponde con la stessa vaghezza riservata ai Carabinieri. Chiara, però, è decisa: se sua madre non le dirà nulla, troverà le risposte da sé, inoltrandosi nel buco nero che si è aperto nel cuore della sua vita.

Siamo a Gioia Tauro e comincia così il viaggio verso la verità di Chiara. Da un video su internet scopre che suo padre non torna a casa perché è latitante. Le tensioni in famiglia aumentano, con sua madre e sua sorella più grande, entrambe a metà tra l’omertà e il desiderio di proteggerla, che si rifiutano di dirle la verità. Chiara però non si arrende nemmeno quando il tribunale la dà in affidamento a una famiglia del Nord, cercando di allontanarla dalla Calabria. Scappa, così, dal treno su cui la sta accompagnando l’assistente sociale e torna a casa. Viene accompagnata da suo padre, in un bunker nascosto tra i monti. Lì, in un dialogo tanto atteso, scoprirà quanto la verità sia molto più complessa di quello che sembra.

 

RECENSIONE – di Aldo Spiniello, Sentieri Selvaggi

Chiara conduce la vita “normale” di una quindicenne. Almeno apparentemente. Va a scuola, corre in palestra, ha due genitori amorevoli, gioca con le sorelle, la maggiore Giulia e la più piccola Giorgia, si diverte con le amiche, tra canzoni, pettegolezzi e battibecchi, nel lungomare di Gioia Tauro. Senza troppi pensieri, piccoli gesti di ribellione, una sigaretta elettronica fumata neanche troppo di nascosto, la risposta sempre pronta, un carattere niente male. Finché, durante la festa per i diciotto anni di Giulia, arrivano alcuni uomini, la tensione sale, succede qualcosa di poco chiaro, il padre se ne va, poi torna a casa, poi scappa dal retro. E qualcuno incendia la sua auto. Ecco, quella macchina in fiamme, su cui, tra l’altro, si conclude il corto A Chiara, specie di costola onirica del lungo, è il punto di innesco che apre un’altra dimensione.

Da lì parte il viaggio della giovane protagonista, che non è altro che un’immersione in quel buco nero che le appare, per un istante, in casa. Quando si accorge del lato oscuro della sua famiglia, dell’ombra criminale di suo padre, di tutto quell’universo fino ad allora quotidiano, non volta lo sguardo altrove. Nonostante la madre cerchi di tranquillizzarla, nonostante Giulia reagisca alle sue insistenti domande apostrofandola “bambina”. La sorella, che sa, ha l’atteggiamento opposto: convive con quell’ombra, senza farsi troppi problemi inutili. Chiara, invece, vuole capire di più, come se quella sua personale inchiesta non fosse altro che un processo di conoscenza di sé stessa. Segue, pedina, chiede, attacca, non accetta facili rassicurazioni né compromessi. E, soprattutto, va a fondo.

Il film è costellato di discese continue, con un’insistenza metaforica evidente. Nel bunker sotto casa, in cui Chiara si rifugia e pare quasi ambientarsi. Nell’altro nascondiglio tra le montagne, in aperta campagna, dove affronta finalmente il padre. E da lì è tutto un viaggio sotterraneo nei traffici illeciti, tra retrobottega, depositi, portabagagli, posti di blocco. Al punto che il film sembra quasi diventare il racconto di un’educazione criminale, la definitiva realizzazione di un’affiliazione fondata sul legame di sangue. “È tanto brutto questo lavoro?”, chiede Claudio alla figlia, rivendicando in qualche modo la legittimità di una scelta dettata dal bisogno. E da una domanda come questa emerge in tutta evidenza la trasparenza dello sguardo di Carpignano, che, sebbene non giustifichi, si tiene sempre lontano dal giudicare i suoi personaggi, cercando di illuminarne la posizione, le motivazioni delle loro scelte di vita. Come se nell’osservazione delle dinamiche, fosse già incorporata, non dico la comprensione, ma di sicuro una conoscenza concreta di certe esperienze, che solo a posteriori diventano dati sociali, antropologici, politici. Perciò Carpignano segue senza stigmatizzare, sforzandosi di accordarsi sempre a un lato più umano, a ciò che c’è di “normale” anche nelle vite più contorte e “controverse”. Come nella lunga, bellissima scena del compleanno di Giulia. Tanto, poi, ci pensa la storia a ristabilire gli equilibri, come per una legge del karma. E, difatti, ciò che sta davvero a cuore è il percorso di Chiara, quest’apparente, continua fuga, che in realtà è un gesto di riappropriazione di libertà individuale. Al di là delle necessità del sangue e del destino, di quell’heimarmene che, invece, era stata la condanna di Pio di A Ciambra, costretto a tradire la fiducia dell’amico Ayiva.

I due protagonisti dei film precedenti, tra l’altro, qui tornano in piccoli incisi, così come ricompare il quartiere rom di Gioia Tauro. A riprova di come Carpignano sia uno dei pochi autori italiani capaci di delineare un universo narrativo organico, complesso, fatto di connessioni, assonanze, rime interne. Dove il reale è il punto di partenza, il deposito delle tracce, delle esperienze e dei volti che prendono poi piena forma nella costruzione poetica. Che si nutre delle traiettorie e delle implicazioni del racconto, certo, ma anche di tutta una dimensione “soggettiva”, che emerge dalle visioni, dalle percezioni sonore, dalla deformazione fantastica, inconscia della protagonista. E qui, davvero, Carpignano aderisce in pieno, a questo sentire in prima persona di Chiara. Al volto e ai movimenti della straordinaria Swami Rotolo, che già, a ulteriore conferma, appariva in un piccolo ruolo in A Ciambra. E immaginiamo di ritrovarla, in futuro. Oltre i suoi diciotto anni, quell’età in cui non si è più bambini, ma neanche davvero adulti. Oltre la festa, non del tutto spensierata, costellata com’è di residui del cuore e della memoria, percorsa dalla presenza ineliminabile dei fantasmi. Fuori dal rifugio, ma solo all’inizio del viaggio, l’attenderemo all’altro lato della corsa…

 

APPROFONDIMENTI 

A Chiara è un racconto di formazione (e per questo dialoga con tutta una serie di opere, dal Wilhelm Meister di Goethe a Illusioni perdute di Balzac) di una ragazza che segue il suo senso di indipendenza e impara a confrontarsi col mondo attorno a lei. Un confronto che passa anzitutto attraverso il contatto con l’altro, con tutte le dinamiche complesse che ciò comporta. Diversi incontri significano diverse reazioni che portano sempre a un arricchimento comune. Quali sono le realtà che Chiara esplora? Come evolvono le relazioni tra la protagonista e i personaggi che incontra? Una volta interagito con l’ambiente, questo si schiude in una complessità che non ammette solamente un punto di vista. Se lo stato considera il padre di Chiara come uno spacciatore criminale, lui stesso rivendica davanti a sua figlia una sua etica personale e una scelta di vita dettata dal bisogno. Da che parte sta la verità? Guardando da lontano sembra facile rispondere, ma quando ci si avvicina è tutto molto più sfumato. Cosa impara Chiara alla fine del suo percorso, una volta trasferitasi a Urbino?

Come si differenzia A Chiara dagli altri racconti della vita mafiosa? La chiave più pop con la quale quest’ultima è stata narrata passa spesso attraverso una forte estetizzazione, come possiamo osservare in serie come Gomorra o La mafia uccide solo d’estate. Lontani da dialoghi fatti di grugniti e sparatorie, però, c’è un intero filone che assume un punto di vista totalmente diverso. Anche quando le attività criminali vengono incluse nel racconto, questo si concentra molto di più su quel tipo di mentalità che rende possibile che queste avvengano. In questo modo si inserisce in una corrente culturale che include svariati illustri esempi. Nella letteratura, per esempio, viene subito in mente Leonardo Sciascia (Una storia semplice; A ciascuno il suo; Il giorno della civetta). Nel cinema, mettendo da parte il panorama internazionale (del quale si possono ricordare i mafia movies di Martin Scorsese, Brian DePalma e Francis Ford Coppola), in Italia possiamo ricordare La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco (che racconta, tra le molte cose, anche dell’influenza della musica napoletana sul contesto palermitano), La luna rossa di Antonio Capuano (ispirato all’Orestea e con Toni Servillo) o il lungometraggio d’animazione Gatta Cenerentola (ispirato a una favola di Giambattista Basile), guardando ancor più indietro, Francesco Rosi (Salvatore Giuliano; Le mani sulla città) e Pietro Germi (In nome della legge). 

Non ci sono molti film che, però, hanno scelto il loro punto di vista non tra gli adulti (per esempio, La paranza dei bambini tratto dal romanzo di Saviano). A Chiara, seguendo lo stile del precedente film di Carpignano (A Ciambra, che racconta la vita di un ragazzo rom calabrese Pio), cerca un linguaggio immediato e contemporaneo, che si muove al confine con quello del documentario. Ma, in una sorta di neorealismo attualizzato ai nostri tempi digitali, è sempre pronto a una virata decisa verso la finzione e il realismo magico. I dispositivi come telefoni e social network assumono così un ruolo centrale tanto per i personaggi quanto per la narrazione (come anche in altre opere contemporanee italiane, come Selfie le cui riprese provengono dai cellulari dei ragazzi protagonisti). Per esempio, quando la protagonista scopre per la prima volta la latitanza di suo padre. Come vengono utilizzati i telefoni all’interno della storia e come utilizzarli nella vita di tutti i giorni in maniera positiva per la crescita di ognuno di noi?

Stills – A CHIARA

 

Regia: Jonas Carpignano

Interpreti: Carmela Fumo, Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Giorgia Rotolo, Grecia Rotolo, Koudous Seihon, Pio Amato, Antonio Rotolo, Vincenzo Rotolo, Antonina Fumo

Sceneggiatura: Jonas Carpignano

Fotografia: Tim Curtin

Montaggio: Affonso Gonçalves

Paese/Anno: Italia, 2021

Distribuzione: Lucky Red et al.

Durata: 121’

Genere: drammatico

 

SINOSSI 

Quando si hanno quindici anni, cosa ci si può aspettare dalla notte di compleanno della propria sorella che compie diciott’anni? Musica e cibo fino a svenire, magari improbabili declamazioni di cugini alticci, ma Chiara non può aspettarsi una macchina in fiamme davanti a casa sua. È questione di pochi attimi, suo padre scompare prima che la luce rossa che illumina il vialetto di Gioia Tauro venga sostituito dal blu delle volanti. Alle sue domande, la madre risponde con la stessa vaghezza riservata ai Carabinieri. Chiara, però, è decisa: se sua madre non le dirà nulla, troverà le risposte da sé, inoltrandosi nel buco nero che si è aperto nel cuore della sua vita.

Siamo a Gioia Tauro e comincia così il viaggio verso la verità di Chiara. Da un video su internet scopre che suo padre non torna a casa perché è latitante. Le tensioni in famiglia aumentano, con sua madre e sua sorella più grande, entrambe a metà tra l’omertà e il desiderio di proteggerla, che si rifiutano di dirle la verità. Chiara però non si arrende nemmeno quando il tribunale la dà in affidamento a una famiglia del Nord, cercando di allontanarla dalla Calabria. Scappa, così, dal treno su cui la sta accompagnando l’assistente sociale e torna a casa. Viene accompagnata da suo padre, in un bunker nascosto tra i monti. Lì, in un dialogo tanto atteso, scoprirà quanto la verità sia molto più complessa di quello che sembra.

 

RECENSIONE – di Aldo Spiniello, Sentieri Selvaggi

Chiara conduce la vita “normale” di una quindicenne. Almeno apparentemente. Va a scuola, corre in palestra, ha due genitori amorevoli, gioca con le sorelle, la maggiore Giulia e la più piccola Giorgia, si diverte con le amiche, tra canzoni, pettegolezzi e battibecchi, nel lungomare di Gioia Tauro. Senza troppi pensieri, piccoli gesti di ribellione, una sigaretta elettronica fumata neanche troppo di nascosto, la risposta sempre pronta, un carattere niente male. Finché, durante la festa per i diciotto anni di Giulia, arrivano alcuni uomini, la tensione sale, succede qualcosa di poco chiaro, il padre se ne va, poi torna a casa, poi scappa dal retro. E qualcuno incendia la sua auto. Ecco, quella macchina in fiamme, su cui, tra l’altro, si conclude il corto A Chiara, specie di costola onirica del lungo, è il punto di innesco che apre un’altra dimensione.

Da lì parte il viaggio della giovane protagonista, che non è altro che un’immersione in quel buco nero che le appare, per un istante, in casa. Quando si accorge del lato oscuro della sua famiglia, dell’ombra criminale di suo padre, di tutto quell’universo fino ad allora quotidiano, non volta lo sguardo altrove. Nonostante la madre cerchi di tranquillizzarla, nonostante Giulia reagisca alle sue insistenti domande apostrofandola “bambina”. La sorella, che sa, ha l’atteggiamento opposto: convive con quell’ombra, senza farsi troppi problemi inutili. Chiara, invece, vuole capire di più, come se quella sua personale inchiesta non fosse altro che un processo di conoscenza di sé stessa. Segue, pedina, chiede, attacca, non accetta facili rassicurazioni né compromessi. E, soprattutto, va a fondo.

Il film è costellato di discese continue, con un’insistenza metaforica evidente. Nel bunker sotto casa, in cui Chiara si rifugia e pare quasi ambientarsi. Nell’altro nascondiglio tra le montagne, in aperta campagna, dove affronta finalmente il padre. E da lì è tutto un viaggio sotterraneo nei traffici illeciti, tra retrobottega, depositi, portabagagli, posti di blocco. Al punto che il film sembra quasi diventare il racconto di un’educazione criminale, la definitiva realizzazione di un’affiliazione fondata sul legame di sangue. “È tanto brutto questo lavoro?”, chiede Claudio alla figlia, rivendicando in qualche modo la legittimità di una scelta dettata dal bisogno. E da una domanda come questa emerge in tutta evidenza la trasparenza dello sguardo di Carpignano, che, sebbene non giustifichi, si tiene sempre lontano dal giudicare i suoi personaggi, cercando di illuminarne la posizione, le motivazioni delle loro scelte di vita. Come se nell’osservazione delle dinamiche, fosse già incorporata, non dico la comprensione, ma di sicuro una conoscenza concreta di certe esperienze, che solo a posteriori diventano dati sociali, antropologici, politici. Perciò Carpignano segue senza stigmatizzare, sforzandosi di accordarsi sempre a un lato più umano, a ciò che c’è di “normale” anche nelle vite più contorte e “controverse”. Come nella lunga, bellissima scena del compleanno di Giulia. Tanto, poi, ci pensa la storia a ristabilire gli equilibri, come per una legge del karma. E, difatti, ciò che sta davvero a cuore è il percorso di Chiara, quest’apparente, continua fuga, che in realtà è un gesto di riappropriazione di libertà individuale. Al di là delle necessità del sangue e del destino, di quell’heimarmene che, invece, era stata la condanna di Pio di A Ciambra, costretto a tradire la fiducia dell’amico Ayiva.

I due protagonisti dei film precedenti, tra l’altro, qui tornano in piccoli incisi, così come ricompare il quartiere rom di Gioia Tauro. A riprova di come Carpignano sia uno dei pochi autori italiani capaci di delineare un universo narrativo organico, complesso, fatto di connessioni, assonanze, rime interne. Dove il reale è il punto di partenza, il deposito delle tracce, delle esperienze e dei volti che prendono poi piena forma nella costruzione poetica. Che si nutre delle traiettorie e delle implicazioni del racconto, certo, ma anche di tutta una dimensione “soggettiva”, che emerge dalle visioni, dalle percezioni sonore, dalla deformazione fantastica, inconscia della protagonista. E qui, davvero, Carpignano aderisce in pieno, a questo sentire in prima persona di Chiara. Al volto e ai movimenti della straordinaria Swami Rotolo, che già, a ulteriore conferma, appariva in un piccolo ruolo in A Ciambra. E immaginiamo di ritrovarla, in futuro. Oltre i suoi diciotto anni, quell’età in cui non si è più bambini, ma neanche davvero adulti. Oltre la festa, non del tutto spensierata, costellata com’è di residui del cuore e della memoria, percorsa dalla presenza ineliminabile dei fantasmi. Fuori dal rifugio, ma solo all’inizio del viaggio, l’attenderemo all’altro lato della corsa…

 

APPROFONDIMENTI 

A Chiara è un racconto di formazione (e per questo dialoga con tutta una serie di opere, dal Wilhelm Meister di Goethe a Illusioni perdute di Balzac) di una ragazza che segue il suo senso di indipendenza e impara a confrontarsi col mondo attorno a lei. Un confronto che passa anzitutto attraverso il contatto con l’altro, con tutte le dinamiche complesse che ciò comporta. Diversi incontri significano diverse reazioni che portano sempre a un arricchimento comune. Quali sono le realtà che Chiara esplora? Come evolvono le relazioni tra la protagonista e i personaggi che incontra? Una volta interagito con l’ambiente, questo si schiude in una complessità che non ammette solamente un punto di vista. Se lo stato considera il padre di Chiara come uno spacciatore criminale, lui stesso rivendica davanti a sua figlia una sua etica personale e una scelta di vita dettata dal bisogno. Da che parte sta la verità? Guardando da lontano sembra facile rispondere, ma quando ci si avvicina è tutto molto più sfumato. Cosa impara Chiara alla fine del suo percorso, una volta trasferitasi a Urbino?

Come si differenzia A Chiara dagli altri racconti della vita mafiosa? La chiave più pop con la quale quest’ultima è stata narrata passa spesso attraverso una forte estetizzazione, come possiamo osservare in serie come Gomorra o La mafia uccide solo d’estate. Lontani da dialoghi fatti di grugniti e sparatorie, però, c’è un intero filone che assume un punto di vista totalmente diverso. Anche quando le attività criminali vengono incluse nel racconto, questo si concentra molto di più su quel tipo di mentalità che rende possibile che queste avvengano. In questo modo si inserisce in una corrente culturale che include svariati illustri esempi. Nella letteratura, per esempio, viene subito in mente Leonardo Sciascia (Una storia semplice; A ciascuno il suo; Il giorno della civetta). Nel cinema, mettendo da parte il panorama internazionale (del quale si possono ricordare i mafia movies di Martin Scorsese, Brian DePalma e Francis Ford Coppola), in Italia possiamo ricordare La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco (che racconta, tra le molte cose, anche dell’influenza della musica napoletana sul contesto palermitano), La luna rossa di Antonio Capuano (ispirato all’Orestea e con Toni Servillo) o il lungometraggio d’animazione Gatta Cenerentola (ispirato a una favola di Giambattista Basile), guardando ancor più indietro, Francesco Rosi (Salvatore Giuliano; Le mani sulla città) e Pietro Germi (In nome della legge). 

Non ci sono molti film che, però, hanno scelto il loro punto di vista non tra gli adulti (per esempio, La paranza dei bambini tratto dal romanzo di Saviano). A Chiara, seguendo lo stile del precedente film di Carpignano (A Ciambra, che racconta la vita di un ragazzo rom calabrese Pio), cerca un linguaggio immediato e contemporaneo, che si muove al confine con quello del documentario. Ma, in una sorta di neorealismo attualizzato ai nostri tempi digitali, è sempre pronto a una virata decisa verso la finzione e il realismo magico. I dispositivi come telefoni e social network assumono così un ruolo centrale tanto per i personaggi quanto per la narrazione (come anche in altre opere contemporanee italiane, come Selfie le cui riprese provengono dai cellulari dei ragazzi protagonisti). Per esempio, quando la protagonista scopre per la prima volta la latitanza di suo padre. Come vengono utilizzati i telefoni all’interno della storia e come utilizzarli nella vita di tutti i giorni in maniera positiva per la crescita di ognuno di noi?

Stills – A CHIARA

 

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